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Caro Fiore, non appassire

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ROSARIO FIORELLOGira voce, nel generoso mondo dello spettacolo, che Rosario Fiorello sia un ragazzo di cinquantatrè anni che, tra una lezione e l'altra di tennis -sua ultima e ostica passione- trovi il tempo per riflettere su quale dovrà essere la sua vita futura, estranea al goliard-variety che tanto lo ha gratificato, e più consona a un talento che deve ancora giungere a maturazione totale.

In questa prospettiva, ciò che è successo giovedì sera a "Techetechetè" ha una sua rilevanza, non tanto per la consueta caccia allo share (un ottimo 20,65%), quanto per il significato che il programma ha assunto scena dopo scena.

Gli amici di Raiuno, infatti, hanno pensato di omaggiare il loro prezioso Fiore costruendo un monografico sulle sue esibizioni made in viale Mazzini.

E così facendo, in effetti, non si sono limitati al gioco catodico, ma hanno racchiuso in un unico protagonista ciò che gli italiani sono stati nel cuore e nella mente:

un simpatico esercito brancaleonico, che ai mille talenti ha aggiunto il gusto della cazzeggeria.

Ecco dunque monsieur Fiorello al fianco di Roberto Bolle, a contargli gli addominali e sballerinare al suo fianco.

Ecco ancora e sempre Fiorello farsi largo, con il sodale Jovanotti, nel cimitero degli indimenticabili, e resuscitare di prepotenza Fred Buscaglione e i suoi sarcasmi gangster.

Ed ecco -ancora degli ancora- il nostro eroe assieme a Mike Bongiorno, che dall'alto della sua sanguinaria bontà a un certo punto è esploso in un lucido: «Io qui sono un oggetto...», perché ben sapeva come i giovani artisti uccidano involontariamente i vecchi maestri amandoli e abbracciandoli in pubblico.

Uno spettacolo nell'insieme importante, per quanto monco del fondamentale periodo codinato, quando ai successi delle piazze piene Fiorello oppose la fragilità delle dipendenze.

Ma comunque, ribadisco, un "Techetechetè" da collezionare come ossario della nostra nazione.

Una sintesi di quanto il figlio del dio Cecchetto ha saputo fare in questi decenni, tra cabaret rubato alla strada («Ve le ricordate le cabine telefoniche?», diceva l'altra sera, «con quelli che avevano tanti gettoni come andassero al casinò?»), osannazione del musichiere pop-classico, e indiscutibile arte nel trafficare con gli ospiti (da Travolta a Tony Bennett, dai Coldplay a suo fratello Beppe, la mamma, e pure la moglie sempre in platea).

Quant'è bastato, alla fine, per catalogare l'intera opera come un prodotto antico, concluso, definitivamente archiviato in un Paese che sta maldestramente cercando di voltare pagina.

A questo punto della storia, insomma, il tennista Fiorello dovrebbe archiviare il suo stesso format, e sperimentare al di là del consenso che l'empatia gli assicura.

«Ma Bocca, oh!, io tutta 'sta manfrina la sto già facendo in Rete, dove ogni giorno invento l'Edicola di Fiore!», pare di udire il Siculo dal suo rifugio segreto.

Peccato, però, che non sia questo che gli viene chiesto.IL PIU' GRANDE SPETTACOLO DOPO IL WEEKEND

Invece dell'esilio web, in cerca di freschezza, invochiamo un ritorno tra le pareti Rai.

Non per crogiolarsi nel ventre della memoria, e dell'arte di gigioneggiare con applaudita sapienza.

Qui serve un salto in avanti, un rischio che nessuno può imporre a Fiorello:

tranne, forse, l'osservazione onesta del "Techetechetè" di giovedì.


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